

La città dei Cento Campanili
Randazzo è un incantevole borgo dal fascino tutto medievale che si adagia sulle pendici nordoccidentali dell’Etna. Il suo territorio, lungo il fiume Alcantara, era già abitato in epoca preistorica, ma furono i greci e i romani a trasformarlo in un centro di rilievo, come dimostrano i reperti archeologici rinvenuti in una necropoli. Nel medioevo, sotto i normanni, Randazzo divenne un baluardo fortificato con una cinta muraria, in parte ancora esistente. I normanni, poi gli svevi e gli aragonesi, hanno lasciato reminiscenze culturali profonde. Il suo tessuto urbano riflette ancora oggi l’antica ripartizione medievale in tre quartieri (latino, greco e lombardo).
A Randazzo trovò accoglienza, fino al 1492, anche una cospicua comunità giudaica, una delle più importanti della Sicilia.
La città conserva intatta la magia di un luogo antico e passeggiando per le sue vie si può ammirare un ricco patrimonio monumentale e artistico: chiese maestose, monasteri, porte e mura, strade e vicoli, eleganti architetture civili con archi acuti e bifore in pietra lavica nera arricchite da colonnine di pietra bianca. Non a caso, Randazzo era nota come la “Siena della Sicilia” e, di quell’antico retaggio, svetta ancora oggi la torre campanaria gotica di San Martino, considerata la più bella di Sicilia, la Chiesa di Santa Maria con il suo campanile neo-gotico e le absidi turrite che la fanno sembrare una fortezza, la Chiesa di San Nicolò con il suo imponente prospetto tardo barocco. Le tre chiese, all’interno custodiscono un inestimabile patrimonio artistico.
Il castello “ex Carcere”, un’antica torre difensiva, ospita il museo archeologico “Paolo Vagliasindi-Polizzi” e una preziosa collezione di pupi siciliani.
Nonostante le calamità e le distruzioni causate dai bombardamenti Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, la città ha saputo preservare il suo fascino antico.
Randazzo è un punto di riferimento naturalistico di rilievo regionale. Il suo territorio si estende tra il Parco dell’Etna, il Parco dei Nebrodi e il Parco fluviale dell’Alcantara. Un sito di notevole interesse naturalistico è il Lago Gurrida, dove trovano rifugio numerose specie di animali acquatici e uccelli migratori. La città è una base ideale per chi volesse esplorare il vulcano, con panorami mozzafiato che spaziano dal paesaggio vulcanico alle valli circostanti.
Sul piano gastronomico, i suoi vigneti, coltivati sui fertili terreni lavici, danno vita al rinomato vino “Etna” DOC, mentre gli uliveti producono l’olio “Monte Etna” DOP. A completare questa esperienza di sapori ci sono i prodotti tipici come la “Provola dei Nebrodi” DOP, espressione della tradizione casearia locale.
Randazzo è un luogo dove storia, arte e natura si intrecciano in un perfetto equilibrio, pronto a sorprendere e incantare chiunque scelga di visitarlo.
Testi e foto a cura di
Gaetano Scarpignato

«Ecco le mura di San Giorgio: lassù il conte Ruggero d’Altavilla non è salito or ora, prima di sfidare a battaglia i Saraceni, per venerare le reliquie e l’effigie dell’arcangelo biondo, che più tardi gli apparirà, nella sanguinosa e decisiva pugna di Troina, cavalcando un bianco destriero e sventolando uno stendardo bianco? Ed ecco l’arco aguzzo della porta Orientale, o del Mosto, o Aragonese, rimbombante di voci e di scalpitìi: re Pietro d’Aragona vi s’ingolfa con parte delle sue schiere, parte lasciandosene fuori le mura, nel campo che da lui si chiamerà fino nei più tardi secoli Campo del Re…».
Bastano queste poche righe di Federico De Roberto – tratte da quel suo lirico e dettagliato e sempre attuale diario di viaggio che è Randazzo e la Valle dell’Alcantara (1909) – per avere un’idea del fascino, dell’illusione che si possono provare – o ritrovare, riscoprire – passeggiando per vie e piazze, vicoli e scalinate, tra le pietre antiche di chiese e palazzi, di archi e campanili di Randazzo.
Dentro quel «cantuccio di mondo sopravvissuto al medio Evo», scrive sempre De Roberto, che tanto colpito rimase dalla cittadina etnea, quando vi soggiornò per qualche mese (perché un luogo ci impressioni, diceva Mario Praz, bisogna che sia fatto di tempo, oltre che di spazio: di passato, di storia, di cultura).
Ed eccola, Randazzo, con tutto il suo respiro lungo e vivo di storie, di arte, di miti: quello proveniente, per esempio, dalla duecentesca chiesa di Santa Maria, da quella meraviglia i cui semplici muri di neri blocchi di lava «hanno un lor proprio carattere di bellezza e sembrano fusi nel bronzo»; o quello della via degli Uffizi (l’odierna via degli Archi: la stessa che mezzo secolo dopo avrebbe fotografato Leonardo Sciascia), con i suoi archi acuti che «si dischiudono a galleria» e le sue bifore gotiche; o quello, ancora, del «campanile arabo-normanno-siculo» di San Martino, tra i più antichi e preziosi di Sicilia.
E che dire del palazzotto del Trecento di via Agonia, delle sue splendide bifore, come quelle che restano del Palazzo Reale, residenza estiva prediletta da re e imperatori? O di quel gioiello che è il cinquecentesco Palazzo Clarentano, con le finestre gotiche «bipartite da colonne marmoree esili come canne»? O del chiostro (diciassettesimo secolo) dell’ex convento dei Frati Minori Conventuali, oggi sede del Palazzo Municipale, con le quattro serie di colonne monolitiche in pietra lavica (come quelle della basilica di Santa Maria) e la fuga di trifore serliane? E ancora: come non fermarsi ad ammirare la solenne statua marmorea di San Nicola, nella chiesa omonima, commissionata ad Antonello Gagini nel 1522?
Per non parlare della pregevole Trasfigurazione sull’altare della chiesa dell’ex Convento dei Cappuccini, opera di Giovanni Lanfranco, tra i più rilevanti pittori del Seicento.
E poi la Vara: quel superbo carro allegorico trionfale, alto diciotto metri e pesante diverse tonnellate, che dal Cinquecento, ogni 15 agosto, rinnova la sua magia. Trainata a mano attraverso il cuore medievale di Randazzo, da decine di persone, con sopra una trentina di bambini (dai sei, sette ai dodici, tredici anni; collocati a diverse altezze, fin sotto la cima) che animano i personaggi dei Misteri della Dormizione, dell’Assunzione e dell’Incoronazione della Vergine (la patrona della città), la Vara non finisce di emozionare, di stupire.
Un respiro lungo e vivo, dunque, quello di Randazzo. Un respiro che sposta il peso dei secoli, per far abitare comodamente al visitatore un antico e severo mosaico di bellezza e armonia; per ridar vita a quell’allucinazione che può farsi poesia, che si fa poesia.
di Giuseppe Giglio






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